Il giorno in cui sono finita in un centro di riabilitazione per i rifugiati tibetani me lo ricordo bene, perché quando sono entrata non avevo idea di cosa si trattasse e quando sono uscita ancora meno. E me lo ricordo perché quella notte, o meglio, la mattina, ho vomitato talmente tanto da recuperare gli ultimi dieci anni in cui non ho mai vomitato. Dice che se vai in India prendi dei virus tremendi, e ve lo posso confermare.
Mi ricordo bene anche quella stanza enorme piena di attrezzi per filare a lana, gomitoli, e donne con le gambe accartocciate a lavorare. Mi ricordo il silenzio e le loro espressioni concentrate e pacifiche mentre continuavano lavorare nonostante avessero il fastidio della mia stupida macchina fotografica puntata su di loro.
Io odio le macchine fotografiche, sono attrezzi infernali e a dire il vero non ho ancora capito bene come funzionano, mi limito e premere il pulsante sperando che quello che viene fuori sia decente. Non le sopporto anche perché disturbano: fanno rumore, sono ingombranti e diciamolo, sono attrezzi maleducati.
Ma amo il fatto che con quegli aggeggi puoi raccontare storie. Come questa.
Il Tibetan Refugee Self Help Centre di Darjeeling, è un centro di riabilitazione per i rifugiati tibetani nella regione collinare ai piedi Himalaya. È stato fondato 1959, dopo che i tibetani hanno seguito il Dalai Lama fuggendo dal Tibet. La produzione di artigianato tibetano è l’attività principale del centro.
Il posto inizialmente forniva aiuti di emergenza ai rifugiati tibetani che arrivavano attraverso viaggi a piedi pericolosi attraversando l’Himalaya. Questo posto aveva un significato speciale per i tibetani, a causa del fatto che il tredicesimo Dalai Lama aveva trascorso il suo esilio in India nel 1910-1912 a seguito dell’invasione cinese del Tibet a quel tempo.
Il centro è stato poi registrato come organizzazione caritatevole ai sensi della legge del governo indiano. Partendo con soli quattro operai, oggi il centro è una casa per più di 130 famiglie tibetane. Le attività spaziano dall’artigianato, alla formazione di artigiani e artigiani.
Oggi il centro esporta in più di 36 paesi in tutto il mondo. Oltre a elementi tradizionali come tappeti tibetani, legno, metallo e opere in pelle, ha anche sperimentato nella ricerca di nuove linee di produzione che incorpora motivi tradizionali tibetani trovando un mercato pronto sia in India che all’estero.
Mi è piaciuto molto il tuo post.
E la frase “le loro espressioni concentrate e pacifiche” fa riflettere sulla nostra fortuna.
Immagino le condizioni lavorative!
Comunque bellissime foto, complimenti 🙂
Ciao Michela! Grazie mille 🙂
Le condizioni lavorative non erano poi tanto male, ho visto di peggio. Comunque hai ragione, siamo fortunati.
Ci sono stata 13 anni fa e, sembra, che non sia cambiata nulla!